Gli Ardecore sono tornati, e sono tornati grazie ad un album di grande fascino e storia. “996 – LE CANZONI DI G.G. BELLI – Vol. 1” (La Tempesta Dischi / Believe Italia), è il progetto che la band romana presenta e che si dividerà in due parti. Infatti, questo primo tassello, andrà a presentare un’intero progetto dedicato a Giuseppe Gioachino Belli, tra gli autori più importanti della storia e della letteratura romana. Un primo volume ricco di fascino, storia, cultura e di amore verso Roma e il suo modo di parlare. Con Giampaolo Felici in questa avventura ci sono alcuni dei più importanti musicisti del rock indipendente italiano e internazionale: Adriano Viterbini (I Hate My Village, Bud Spencer Blues Explosion) Jacopo Battaglia (Zu, Bloody Beetroots), Giulio Favero (Teatro Degli Orrori), Massimo Pupillo (Zu), Geoff Farina (Karate), Ludovica Valori (Nuove Tribù Zulu), Gianluca Ferrante (Kore), Marco Di Gasbarro (Squartet) e la partecipazione di Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) in alcuni brani. A raccontare di questo primo volume dedicato al grande poeta, Giampaolo Felici, membro degli Ardecore.
Ciao Giampaolo, come stai?
«Sto bene! Dal punto di vista della salute non mi lamento (ride ndr.). Questo è sicuramente un momento particolare per la musica e per chi suona. C’è stato un grande stop che ha messo tutti seduti e tutti abbiamo lavorato sulla creatività e sulla produzione artistica. Invece, adesso, nel momento di riapertura, c’è un overbooking di progetti. Tutti vogliono suonare e tutti hanno un qualcosa di pronto. Così si fa a gara al lancio e alla promozione di quello che si è costruito in questi anni. È come durante il buffet al matrimonio, dove ci sono tante cose da mangiare e le persone si buttano su tutto. È un momento caotico e di insicurezza».
Parliamo subito di questo progetto. Com’è nato questo album dedicato al grande poeta G. G. Belli?
«Ci sono vari motivi per cui siamo andati verso il Belli. La nostra è sicuramente un’idea pretenziosa, anche perché andare a toccare il Belli per farci delle canzoni è un bel rischio. La possibilità di fare un buco nell’acqua è dietro l’angolo. Per noi il Belli è il maestro della lingua romana. Dava una grammatica ad un popolo che la grammatica non l’aveva. Infatti, dal Belli in poi si parlerà di lingua romana o lingua romanesca. Per noi è una specie di Dante. Lui ha messo le basi sulla lingua e ha dato la voce al popolo».

Non deve essere facile portare avanti un progetto così ambizioso.
«Noi guardiamo indietro per andare avanti. Non è solo quella tradizione verso l’innovazione da antropologia che si usa molto spesso in Italia, ma è più un cercare una base per appoggiarci e andare a fare un discorso verso la musica. Il sonetto del Belli ti porta su una struttura musicale che è differente da quella classica che tutti conosciamo. La base è di prendere quindi un tema sociale collegato alle nostre radici e cercare di fare un discorso progressivo sulla musica, che per noi è più importante della forma dialettale».
Come mai tutto questo tempo dal vostro precedente album?
«Diciamo che la gestazione è aumentata anche grazie al periodo che abbiamo vissuto. Anche se generalmente ci mettiamo sempre 4/5 anni per ogni progetto, fatta eccezione per i primi album. In genere ci prendiamo sempre un po’ di tempo perché non ci va di far parte di un certo percorso o di un certo calendario. L’importante per noi è uscire quando uno abbiamo qualcosa da dire. Ci è voluto molto tempo per trovare i pezzi e fare ricerca sul Belli».
Per cosa stanno quei numeri quel “996”?
«È la sua firma e rappresentano il suo nome in corsivo».

Nel titolo c’è quel Vol. 1. Dobbiamo aspettarci anche un altro album per completare il progetto?
«Esattamente! Presto uscirà il Volume 2 e sarà accompagnato anche da un libro che sarà completo ed esaustivo sul tema del Belli. Anche perché ci sarà l’introduzione di Marcello Teodonio, che è lo scrittore più importante sul Belli. Tutte le introduzioni degli ultimi 30 anni le ha curate lui. Per noi è un motivo d’orgoglio la sua presenza. È come se anche lui facesse parte degli Ardecore. Il tema centrale sarà sempre la lingua del Belli, ma anche il rappresentare un momento di Roma e della società romana raccontata dal Belli stesso. Insomma, faremo un’opera completa».
Voi che raccontate di una Roma diversa, viva solo negli scritti dei grandi poeti e scrittori, come vedete la città eterna oggi?
«La Roma di ieri la possiamo leggere dagli scritti, dai sonetti e dalle canzoni che ci sono state tramandate. Insomma, riportano ad un periodo che non c’è più e propongono una fase nostalgica. Che forse prima era meglio e forse si è perso qualcosa. Anche se forse la verità sta nel mezzo. Ci sono i lati positivi, ma anche diversi lati negativi. Roma è una grande metropoli, ma oggi vive in modo convulso, con esagerazione e con la mancanza di rispetto del territorio. C’è un disamore verso la città e questo è un peccato visto la storia imponente della di Roma».
Voi siete tra i grandi esponenti del folk romano, ma vi sentite rappresentati anche della storia di Roma?
«Sicuramente! Siamo consapevoli che per il nostro percorso è importante portare avanti certi temi sociali e tradizionali, legati alle nostre radici. Per noi, come dicevo, è un modo di essere progressivi sulla struttura musicale. Siamo però anche coscienti che questa nostra scelta fa parte di un viaggio lungo e che i risultati non sono istantanei, ma che si vedranno negli anni. L’importante per noi è che la gente apprezzi quello che facciamo. Il folk generalmente è un pezzo di tradizione del territorio, solitamente vengono apprezzate maggiormente le vecchie produzioni, forse il nostro folk verrà apprezzato tra un decennio».
Come continuerà il percorso degli Ardecore con l’uscita di questo primo volume?
«Quello che ci aspetta adesso, è che dopo sette anni di stop ci troviamo in un mondo musicale diverso e rinnovato. Con anche la nascita di una sorta di new folk romano e con lo sviluppo di tante realtà che hanno preso spunto anche da noi. Noi però, adesso, abbiamo l’impellenza di suonare, mettere carne al fuoco e continuare con il nostro percorso. È impegnativo, ma è bello poter portare un tema così in giro».