Potremmo definire i Foja come dei veri ragazzi “infogliati” per la musica, la cultura e la vita, e che riescono a dimostrare, album dopo album, di essere una band che ha saputo sperimentare nei generi, riuscendo tuttavia a mantenere centrale la tradizione nel proprio modo di fare musica. In “Miracoli e rivoluzioni”, il loro ultimo disco uscito lo scorso 8 aprile (Fullheads / distr. digitale Believe – distr. fisica Audioglobendr.), i Foja presentano un album che guarda alla musica, alla contaminazione e all’attualità, e di conseguenza, figlio anche della pandemia, ma con una grande volontà di ripartire che si percepisce già al primo ascolto.
Due sono le anime di questo progetto, da un lato un qualcosa che viene dall’alto come un miracolo e dall’altro un qualcosa di concreto che solo l’uomo può fare, proprio come una rivoluzione. I Foja credono infatti nell’idea che: “ogni giorno è un miracolo e ogni giorno può essere una rivoluzione“. A parlare con noi, della band e del nuovo album ricco di collaborazioni e contaminazioni, Dario Sansone, frontman dei Foja.
Ciao Dario, come state voi dei Foja?
«La sensazione è quella di un nuovo inizio, questo per noi è come un disco d’esordio. L’energia e la voglia messa in questo album è tanta, è un ricominciare da 0, certo, con un’altra testa, ma mantenendo la stessa umiltà di 15 anni fa. Sentivamo l’esigenza di tornare in campo».
“Miracoli e Rivoluzioni” è un disco con due anime ben definite, da un lato si indaga in tematiche legate alla sfera sentimentale e dall’altro nelle questioni esistenziali e sociali. Come mai questa doppia visione?
«Il fatto di essere vivi e di trovarsi immersi in questa vita nonostante tutte le problematiche è certamente un miracolo. La rivoluzione richiede invece un nostro intervento. Nell’album sono presenti 6 canzoni d’amore, che per noi rappresentano i miracoli e che non dipendono dal nostro volere. Mentre le altre 6 canzoni rappresentano l’anima sociale, la rivoluzione, che invece dipende da noi e dal nostro volere. Una doppia anima è presente anche in forma sonora. Da un lato c’è la tradizione, mentre dall’altro c’è una sperimentazione, in generale potrei dire che c’è una segmentazione di suoni differenti che si sposa su quella che è la forma canzone, alla quale noi siamo più affezionati».
Cosa c’è del periodo appena vissuto in “Miracoli e rivoluzioni”?
«C’è una parte di spirito e una di corpo, quello che abbiamo vissuto ha influenzato questo album, visto che era previsto già prima della pandemia. Il periodo vissuto ha trasformato il nostro modo di lavorare, anche perché tante cose sono diventate figlie della distanza, come il nostro modo di fare e produrre canzoni. Alcuni brani sono anche nati durante il lockdown e per le tematiche ancora attuali, hanno sostituito canzoni che inizialmente erano state inserite. È sicuramente un disco figlio di questi tempi».
In questo periodo c’è più bisogno di miracoli o rivoluzioni?
«Serve la Pace e questo sarebbe il più grande miracolo e la più grande rivoluzione. Il concetto di Pace è il baluardo culturale dell’Europa».
Nell’album sono tante le influenze di generi, come rock, blues, pop, la canzone napoletana tradizionale, l’elettronica e il folk, e tante le collaborazioni importanti come quelle con Clementino, Gragnaniello, Toffolo, Hengeller e Romero. Quanto vi piace sperimentare e collaborare?
«Quando sei costretto in 4 mura, riappropriarsi della libertà artistica è vera libertà. Noi ci divertiamo molto a sperimentare, è quello che facciamo da sempre. Amiamo contaminare la nostra musica con altre storie e/o culture. In questo disco ce ne siamo fregati altamente delle mode e dei numeri, noi abbiamo fatto cose che ci divertivano e che ci sembravano adatte per le nostre canzoni».
Questo è il vostro 4° album, ma oltre all’esperienza, quanto siete cambiati dai vostri esordi?
«Quando sei dentro è difficile capire i propri cambiamenti, ti senti sempre la stessa persona che ha iniziato e quindi sempre incerta e insicura in ogni cosa che fa. Sicuramente, è cresciuta la consapevolezza di sapere che dall’altra parte c’è qualcuno che aspetta di sapere cosa stai facendo, e che quindi, ciò che facciamo merita un rispetto e una cura maggiore. Siamo più professionali, forse è questa l’unica cosa cambiata in noi, anche se in fondo siamo sempre gli stessi».
Napoli è una città ricca di cultura, musica e tradizione. Quanto vi influenza la vostra città?
«Il nostro melting pot deriva dal nostro essere napoletani. Napoli è una città di mare, un porto che ha sempre accolto altre culture. Anche nella nostra lingua ci sono parole che derivano dal catalano, dal castigliano, dall’arabo, dal greco, dal tedesco, dall’americano e dal francese. Insomma, Napoli è una città che fagocita le culture e le tira fuori in un modo proprio e personale. Questo album è simile alla nostra città, è legato ai Miracoli come Napoli con San Gennaro ed è sempre in attesa di queste rivoluzioni, nonostante a Napoli siano passati tanti rivoluzionari, tra cui Maradona».
So che state organizzando degli showcase per presentare il vostro album, ma ci saranno delle date in estate?
«Siamo in trattativa per organizzare eventi in giro per l’Italia. Dopo due anni di stop forzato sono tanti gli artisti che vogliono tornare a cantare e quindi gli spazi disponibili non sono tantissimi. Bisogna attendere ancora un po’, ma speriamo di poter annunciare tutto il prima possibile».
In conclusione, qual è l’obiettivo dei Foja dopo l’uscita di questo album?
«Di poter diffondere queste canzoni e portarle in giro, anche perché è un disco che ci ha chiesto tanto e alla quale abbiamo dato tanto. Per noi sono fondamentali le canzoni e i messaggi che cerchiamo di trasmettere».