Tra i grandi nomi della musica italiana troviamo sicuramente quello di Franco Fasano. Autore, musicista e interprete, con tanti successi alle spalle e un Sanremo vinto da autore con il brano “Ti lascerò” interpretato poi da Fausto Leali e Anna Oxa. Il libro, scritto con Massimiliano Beneggi e intitolato “Io amo” (edizione D’Idee), come uno dei suoi grandi successi. Fasano racconta la sua storia e gli aneddoti di una carriera, il suo rapporto con i genitori e in particolare con il padre fotografo, il muretto di Alassio e il Festival di Sanremo, per proseguire poi con la passione per la musica e gli incontri che gli hanno aperto le porte del destino (dalla prima band La bella età agli insegnamenti del maestro Barzizza, di Depsa e di altri giganti della musica), per terminare con le canzoni dello Zecchino D’Oro.
Nella sua enorme carriera, il Golden Boy della musica italiana – in un chiaro richiamo a Gianni Rivera, uno dei suoi miti – ha scritto e musicato brani per i più grandi interpreti dello scenario italiano: da Mina a Iva Zanicchi, da Drupi a Fausto Leali, passando per Fiordaliso, Anna Oxa, Peppino Di Capri, Cristina D’Avena, Massimo Ranieri, Loretta Goggi e le canzoni dello Zecchino D’Oro.
Il muretto di Alassio come primo sfondo musicale con la sua “Splash!” e il Festival di Sanremo con “Un’isola alle Hawaii” (destinata a Celentano ndr.) per l’esordio sul palco più importante d’Italia, prima di diventare uno dei big della canzone italiana.
Qui la nostra intervista a Franco Fasano sul libro “Io amo”
Ciao Franco, come stai e come stai vivendo questo periodo ancora molto incerto?
«Personalmente sto bene, anche se anch’io ho avuto il covid. Artisticamente possiamo dire che questa situazione ha tarpato le ali a chi come noi vive di musica, non soltanto nel portarla in prima persona, ma anche dal punto di vista di chi canta le nostre canzoni. Tuttavia, dal punto di vista creativo, se non ci fosse stato il lockdown il mio libro non avrebbe mai visto la luce».
Quindi come è nato questo libro?
«Erano anni che me lo chiedevano, ma non avendo mai tempo non riuscivo neanche ad organizzarmi. Il libro poi è nato attraverso un intervista con Massimiliano (Beneggi ndr.) sui cartoni animati, ed è diventata più lunga di quanto lui stesso si aspettasse. Inoltre, è stata una delle più lette del suo blog. Così, a settembre del 2020, ci siamo risentiti per fare questo libro. Abbiamo iniziato registrando delle curiosità che aveva Massimiliano, alla quale ho risposto con grande sincerità. Tra una cosa e l’altra abbiamo terminato il libro verso la fine di maggio del 2021».

“Io amo” è il titolo del libro, ma è anche il titolo di uno dei tuoi capolavori sanremesi interpretato da Fausto Leali. Come mai questa scelta per il titolo?
«”Io amo” non era il titolo di partenza del libro. In realtà siamo partiti senza un titolo. Poi ho pensato a come sono io e la scelta è stata facile. “Io amo”, non è solo il titolo di una canzone, ma è anche un atteggiamento del mio modo di vivere. Io amo le canzoni, io amo un certo modo di rispettare l’amicizia, io amo rispettare chi con me ha scritto le canzoni, io amo rispettare chi mi ha insegnato questo mestiere. Ecco il motivo di questo titolo».
Nel libro, grande spazio è dedicato a tuo padre, che è stato anche fotografo al Festival, ma qual è stato il tuo rapporto con lui?
«Il libro lo dedico a mio padre, perché in queste 380 pagine abbiamo parlato soprattutto dell’aspetto musicale e del mio vivere la musica. Le strade e i sentieri che mi hanno portato a diventare quello che sono oggi. Sicuramente mio padre è stato fondamentale per il mio percorso. È stato lui a decidere di trasferirsi in Liguria ed è stata la sua passione per la musica, per le fotografie e per Sanremo a farmi appassionare alla musica. È merito suo anche il nome della mia prima band: La bella età».
Dalle canzoni sanremesi allo Zecchino D’Oro, come è nata questa passione per lo Zecchino D’Oro?
«È stato sempre merito di mio padre. Da bambino lui mi insegnava le canzoni dello Zecchino D’Dro, che poi in realtà imparavo anche da solo ogni volta che andavo in vacanza da mia nonna. Passavo le giornate ad ascoltare i 45 giri ad Alassio imitando Lelio Luttazzi, ma quando ero in Val D’Aosta, utilizzavo il giradischi di mio nonno e così ascoltavo tutti i 45 giri che avevano a casa e stranamente alcuni erano dello zecchino d’oro. C’era una canzone che si chiamava “La giacca rotta” ed era una delle canzoni che cantavo quando ero piccolissimo. Purtroppo non mi hanno mai chiamato a cantare, non sono mai riuscito a superare le selezioni. Invece, andò molto meglio quando mi chiamarono come autore, grazie a Paolo Zavellone. Senza spoilerare troppo il libro, posso però dire che mio padre era molto contento che mi mettessi a scrivere per i bambini».
Nel libro racconti la tua vita in 33 capitoli, come in un vecchio 33 giri e i titoli sono legati alle tue canzoni più famose. Come mai questa scelta?
«Se devo essere sincero all’inizio i capitoli del libro erano 30 ed erano un po’ lunghi. Ma sotto consiglio di Franco Zanetti, che io stimo moltissimo, abbiamo deciso di farne 33 e intitolandoli con i titoli delle mie canzoni. Tra l’altro è di Zanetti anche la prefazione del libro. Mi sono commosso per ciò che ha scritto, e gli sono molto grato per questo».
Parlando del Festival, hai iniziato da interprete con il brano “Un’isola alle Hawaii” e poi come autore hai firmato tanti grandi brani come “E mò e mò”, “Una sporca poesia”, “Io amo”, “Mi manchi”, “Ti lascerò”, “Una piccola parte di te”, “Ti voglio senza amore” e tanti altri, ma oggi, qual è il tuo rapporto con il Festival di Sanremo?
«Quando ho iniziato ad incidere per la Durium, Sanremo doveva essere un importante punto di partenza per me, però, onestamente non ci pensavo tanto. Anche perché in quegli anni il Festival di Sanremo non era importante come lo era negli anni ’70 o come lo è oggi. Insomma, Sanremo non era nelle mie priorità inconsce, ma era in quelle del mio produttore, che sapeva benissimo che il Festival era uno strumento importante per far conoscere un ragazzo alle prime armi. Nell’81 il Festival tornò ad essere importante perché riproposto in diretta. Io, per fortuna o sfortuna, mi esibì per primo e fu una sorta di choc emotivo. Capitai in una annata strana e non riuscii ad entrare in finale, anche perché in quella giornata mi ritrovai De Crescenzo, Barbarossa, Mannoia e soprattutto Orietta Berti. Il mio rapporto con il Festival non partì benissimo».
E successivamente che successe?
«L’anno dopo conquistai il cuore e spero la stima di De Pasquale e di Pinuccio Pirazzoli, che era il mio arrangiatore all’epoca. Entrai bene in quell’equipe di lavoro ed entrai quasi senza fatica, ma lavorando sodo. Iniziando con “Ping pong” dei Plastic Bertrand e “Una sporca poesia” per Fiordaliso. Continuai poi a collaborare con Depsa, ma da autore. Tuttavia, io volevo cantare le mie canzoni. Fortunatamente incontrai Adelio Cogliati e insieme scrivemmo “Regalami un sorriso”, poi portata al Festival da Drupi, che era uno dei miei cantati preferiti di quando cantavo con La bella età. Pensai che fosse una bella occasione. Feci bene o feci male non so, ma devo dire che mi portò molta fortuna questa nuova partecipazione».
Invece, quest’anno vedrai il Festival?
«Lo vedrò certamente! Per me vedere Sanremo è come tornare con mio padre lì. Quindi lo vedrò con piacere. Farò il tifo per la Zanicchi perché se lo merita e perché il pezzo vede la firma di Italo Ianne con cui ho scritto “Io amo” e che mi ha fatto uscire dal mio guscio e di Emilio Di Stefano, con cui ho collaborato per lo Zecchino d’Oro (“Goccia dopo goccia”), ed è stato anche uno dei primi lettori di questo libro».
