Schietto e veritiero come la sua musica, Giovanni Block non si nasconde e con “Retrò” (etichetta: La Canzonetta Record / distribuzione fisica: Self – distribuzione digitale: Believe) dà voce ad un’intera generazione dimenticata e messa da parte con troppa facilità. In “Retrò” l’artista trova il modo di rimettere la musica al centro, utilizzando sonorità familiari e piacevoli e che si amalgano ad un testo lineare e per nulla banale. Un passo indietro – storicamente e musicalmente parlando – per farne due avanti con un progetto che sa di passione, amore e che presenta sonorità vintage in un mercato discografico sempre più veloce e social. Una ricerca di giustizia per tutte quelle realtà artigianali che rimangono di nicchia anche per radio e mercati nazionali. A raccontare “Retrò” lo stesso Giovanni Block
Ciao Giovanni, innanzitutto come ti senti dopo l’uscita di questo progetto?
«Sto con la consapevolezza che il mio è un progetto difficile da vendere e da veicolare e quindi sto sempre sul chi va là. È un momento difficile per questo tipo di musica!»
Ma questa difficoltà nasce per i temi proposti e da una ricerca di “leggerezza” o da artista pensi ad altre cause?
«Onestamente non so! Credo che la condizione economica influisca e non poco. Credo che ogni successo dipenda anche dal tipo di investimento fatto. Fino a quando ci sarà una supremazia delle etichette nazionali, per realtà artigianali come la mia la situazione non sarà facile e restano fuori dal mercato e dalle radio».
In una situazione discografica così complessa, come un cantante trova la voglia e l’ispirazione?
«Non faccio musica perché la voglio fare, ma perché non riesco a fare altrimenti! Non riesco ad essere diverso da quello che sono! Anche se la mia musica non mi porta ad un benefit economico, voglio continuare a portare in giro la mia idea. Se riesco ad emozionare qualcuno, vuol dire che ho ragione di di andare avanti. Emozionare le persone con la mia musica è la mia vita».
Parliamo adesso di “Retrò” il tuo nuovo album, come mai hai deciso di raccontare una generazione che in questo momento è poco vista?
«Racconto di una generazione scomparsa dai radar, che oggi non esiste proprio. È fuori mercato. La mia è una generazione che sta nel mezzo, per i più piccoli siamo boomer e per i più grandi siamo degli eterni adolescenti. Non abbiamo una rappresentanza e stiamo in un eterno precariato, lavorativo e ideologico! Mi è sembrato giusto raccontare quindi questa generazione attraverso 11 tracce e raccontarla in modo semplice e disilluso, ma anche con un po’ di speranza».
Quanto ti ritrovi in questo album?
«Mi ci ritrovo completamente, anche perché racconto della mia generazione e porto avanti la mia idea di musica. Io scrivo solo quello che vivo».
Le nuove generazioni potrebbero apprezzare un progetto del genere?
«Spero di arrivare ai ventenni per poter far capire quale era la musica che ascoltavamo. I nostri esempi e il nostro ascolto. Mi piacerebbe essere un ponte e poter trasmettere un qualcosa di diverso da quello che suona ora. Io sono anche un professore di musica e quello che faccio nella vita l’ho voluto riportare in questo album».
Questo album lo possiamo considerare quindi come uno strumento per non perdere le nostre radici musicali?
«Certamente! Oggi la musica esce con grande facilità come se fosse un prodotto di consumo qualsiasi. In realtà non si può chiedere ad un artista di fare un disco ogni sei mesi o un brano ogni settimana. L’arte ha bisogno di tempo, ricezione e comunicazione. Bisogna tornare a rispettare la musica».
C’è un obiettivo che ti poni per questo album?
«Come detto prima: i piacerebbe che questo album lo ascoltasse qualche ventenne! Non voglio che la mia musica passi come cultura alta, ma come cultura ALTRA. Ovvero dare un’altra visione della musica e dare un’alternativa alla musica usa e getta dei social».
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