Una vita da comprimario e che l’hanno reso uno degli artisti più interessanti del panorama musicale emergente. Lepre, è uno che la gavetta l’ha fatta, tanta e bene. Giovane ma con l’esperienza da veterano e un talento tutto suo che mette in mostra nel suo disco d’esordio dal titolo “Malato” (tichetta – gelato label/Trovarobato – distribuzione The Orchard). Un album anti pop e che vede una tracklist unica nel suo genere, con titoli iconici e con tanti temi differenti all’interno delle canzoni, dalla vita all’amore e tutto ciò che ci circonda. Insomma, un album vero e da ascoltare con grande attenzione. A raccontare questo album è lo stesso Lorenzo Lemme, nome reale di Lepre.
Ciao Lorenzo, come stai?
«Innanzitutto, grazie! Mi fa molto piacere questa domanda (ride ndr.) Sto bene, un po’ sballottolato tra i motivi personali e l’uscita del disco. Sono in agitazione, ma sono molto contento di quello che sta succedendo. Ho vissuto il passaggio dalla calma e della solitudine all’esplosione delle relazioni in un modo molto veloce. Nel giro di 4/5 mesi è ritornato un ritmo elevatissimo. Però, nonostante tutto, sono molto contento!».
Dopo una vita da componente di una band ecco “Malato”, il tuo disco d’esordio da solista. Cosa ci puoi dire di questo album?
«Una bella emozione! I brani nascono negli ultimi 10 anni. Raccontano il mio vissuto, anche se ho una vita normalissima. Mi succedono delle cose che amo raccontare e che sono poi spunti che mi portano a scrivere. L’album è anti pop e lo sono anche i titoli dei brani, titoli simpatici e che spero possano attirare l’attenzione e invogliare il pubblico ad ascoltare».
Lo definisci quindi un disco anti pop, ma come mai?
«Ho i miei gusti emotivi e musicali. Sono un ragazzo cresciuto con la musica suonata dagli strumenti. Quello che mi interessa è il tipo di onesta che si mette nella creazione artistica. Volevo che non suonasse pop, perché volevo che non ci fosse nessuna vetrina, volevo la sincerità. Sono suoni veri quelli all’interno del disco. Questo è un’approccio che a me piace molto. La mia visione è opposta al pop, mi scopro e faccio vedere tutte le mie fragilità e le mie imperfezioni. Non critico il pop, ma è troppo imbellettato. Io voglio farmi vedere così come sono».
Come mai questo titolo “Malato”?
«Il titolo l’ho scelto per premiare un brano dell’album (“Malato”), che forse è quello più astratto dal punto di vista del testo, ma è anche quello che si adatta di più alle diverse circostanze. C’è un emozione dietro quel brano, c’è un passaggio di crescita maturato in quegli anni: “chissà quanto tempo ci vuole prima che una persona capisca qualcosa“. Diciamo che questo argomento mi colpisce ancora molto. Questo brano ha un fuoco che resta sempre acceso. L’idea di “Malato”, inoltre, è anche quella di utilizzare una parola che ha molti significati, una parola quasi pericolosa e che si può applicare in tante situazioni, una parola che può avere significati nascosti. In generale l’aspetto della malattia è un momento che va sdoganato, anche sul dolore ci sono tabù e non se ne parla ancora abbastanza. Ci sono tante persone che si credono perfette e non accettano di ammalarsi. Siamo organismi in costante evoluzione e non saremo mai perfetti».
Di gavetta ne hai fatta tanta, ma qual è stato il passaggio più significativo da componente di una band a solista?
«Sicuramente l’espormi in prima persona! Con la band c’è un’esposizione collettiva e nessuno si sente responsabile. Succedono delle cose che non sono di qualcuno, ma sono di tutti. In questo disco, invece, le emozioni sono le mie e anche il modo di comunicare è il mio. Mi hanno detto che mi riconoscono in questo album e che parla molto di me. Ecco, questa cosa in una band non esiste. In un progetto solista sei solo tu il responsabile, lavori comunque con altri musicisti, ma quando sei lì ci metti la faccia, ci metti i tuoi testi e il tuo vissuto. È un qualcosa di molto personale».
Nel tuo vissuto c’è anche la timidezza, possiamo dire che questo album va ad esorcizzare anche quell’essere introverso?
«Sicuramente! Tutta la mia vita musicale è stata un canale per esorcizzare la mia timidezza. È una vita di emancipazione dal mio essere schivo. “Mezzo scemo” è il brano che più di tutti parla di questo aspetto qua. Da piccolo ero un bimbo contento e felice, ma per non incappare nell’imbarazzo e nella vergogna, stavo più tranquillo da solo. Quella solitudine però, faceva anche bene e fa bene anche ora. Fa bene a me, per i miei testi e per la musica che scrivo. In questo disco però non voglio parlare di me, ma spero che possa essere utile a chi lo ascolterà e mandare un po’ di energia positiva».
Quali sono i prossimi appuntamenti per venire a scoprire il tuo nuovo progetto?
«Una delle date è a Roma che è un primo obiettivo e presenteremo l’album al Teatro Quarticciolo. Sono un ragazzo di periferia e mi piace iniziare così. Un’altra data è al Miami a Milano e sono felicissimo di partecipare ad un festival così importante».
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