In occasione dell’evento “Play Music Stop War” realizzato e promosso dalla Comunità di S. Egidio per chiedere la fine della guerra in Ucraina e di ogni guerra, abbiamo raggiunto nel backstage Nicolò Carnesi, uno dei più talentuosi e apprezzati cantautori della scena italiana attuale. Artista di gran talento che in occasione dell’evento si è esibito sul palco di Piazza del Popolo a Roma con i brani “Virtuale” e “Mi sono perso a Zanzibar“. Attualmente, Nicolò Carnesi è anche in rotazione radiofonica con “Penelope, spara!” il singolo con Dimartino, terzo estratto dalla speciale riedizione de “Gli eroi non escono il sabato”, in uscita per Manita Dischi/Garrincha Dischi.
Ciao Nicolò, inizierei chiedendoti come stai ora che si può tornare a suonare?
«Bene, bene, anche se ci sono stati già dei momenti in cui ho fatto qualcosa e ho potuto suonare. Dobbiamo però ancora fare attenzione, anche se sembra che la situazione pandemica sia finita perché non se ne parla più e la discussione non è più all’ordine del giorno. Il problema però, è che la pandemia è stata sostituita da qualcosa di peggiore per certi versi, che è la guerra. Tuttavia, gli strascichi della pandemia lì stiamo superando, anche se le cicatrici rimangono. È bello vedere la gente in piedi, senza mascherina, all’aperto e che tornare a divertirsi».
Qual è la tua emozione nel cantare in un evento come “Play music stop war”, visto che siamo passati da una situazione di pandemia ad una guerra che in parte ci vede da vicino?
«Viviamo la guerra relativamente da vicino, anche perché non siamo noi ad essere bombardati e questa è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare. Ci vorrebbe molta forza a cantare e a stare in piazza nel momento in cui sei tu all’epicentro della guerra. Dobbiamo portare avanti quel tipo di retorica che molto spesso non funziona, ma in pochissimi casi è efficace, ovvero quella contro la guerra. Invece, torna sempre, come un ciclo infinito, quella retorica che si lotta per la pace, che poi è un controsenso, anche perché non si può lottare per la pace. In questo caso noi dobbiamo cantare per la pace, anche se purtroppo ha poco valore intrinseco. Se l’arte avesse più forza per decidere le sorti del mondo, il mondo sarebbe un posto migliore. Purtroppo non è cosi, ma noi ci proviamo lo stesso».
Quanto è importante quindi la figura dell’artista che si espone per temi così delicati?
«È importante finché sei innocuo. L’impressione che si ha della figura dell’artista è sempre strana, è stata dimostrata dalle dichiarazioni di alcuni esponenti politici. In molti credono che il nostro lavoro sia solo intrattenimento: “gli artisti che ci fanno tanto divertire”. Il ruolo dell’artista in realtà è duplice: sicuramente deve far divertire, ma deve anche saper scuotere le coscienze nel limite del possibile e riuscire a mandare dei messaggi attraverso l’arte. Come può essere una canzone d’amore contro la guerra».
Sul palco ti sei esibito con due brani importanti. Come mai questa scelta?
«Ho cantato “Virtuale” che è un brano che racconta la condizione prigioniera indotta dai social e dalla vita virtuale e che si collega con altre questioni, come l’essere schiavi anche a livello d’informazione rispetto alle tematiche social. Invece, dovremmo tornare a vivere nella realtà, confrontarci e a vivere, altrimenti diventa tutto troppo polarizzato e quindi fondamentalmente inutile. L’altro brano è stato “Mi sono perso a Zanzibar”, che è una canzone che parla del poter viaggiare, l’essere liberi di cercare la propria felicità. Auguro a tutti di essere realmente liberi e felici in un mondo del genere e questo è un augurio che faccio anche a me stesso. La libertà è una parola sulla bocca di tutti, ma sulla mente di pochi».
Per quanto riguarda la tua estate, dopo questo evento immagino che sarai pronto a tornare con regolarità a calcare i palchi?
«Farò diversi concerti, ci stiamo lavorando. La voglia è di tornare a suonare e di portare la mia idea di libertà e di serenità attraverso le mie canzoni. Che poi le mie canzoni non nascono solo dalla serenità, ma anche da conflitti interiori. Anche perché, finché il conflitto è interiore fa anche bene, ti poni delle domande e tenti di migliorare».
Qual è il tuo obiettivo adesso?
«Io non mi pongo obiettivi, non sono una persona ambiziosa. La ricerca di un obiettivo è una narrazione profondamente americana e che non mi piace. Quello a cui cerco di arrivare è una serenità personale e alla possibilità di scrivere delle cose belle. Io so fare questo, so scrivere canzoni e mi piace quando riesco ad arrivare alle persone in maniera genuina, pura. Il mio obiettivo, se così si può dire, è quello di scrivere la mia canzone migliore e di riuscire a far uscire il lato migliore di me».
Per finire, un messaggio che ti senti di dare visto anche l’evento?
«Non mi sento nessuno per dare messaggi o cose di questo tipo. L’unica retorica che mi piace è quella contro la violenza. Come dicevano Cristo, Socrate e in parte Nietzsche che è un nichilista, dobbiamo puntare sull’empatia: “non fare ad un altro quello che non vorresti fosse fatto a te!” lo hanno detto molto prima e spero che possano essere ascoltati oggi. Dì slogan non ne ho, ma lì lascio ai politici e agli imprenditori».
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