Riccardo Fogli: «Alla Piaggio facevo il postino, canticchiavo e fischiettavo tutto il giorno»

Riccardo Fogli è uno dei pilastri della canzone italiana, artista eclettico, capace di attraversare gli anni, a rimanere sempre in testa alle classifiche e riuscendo ad entrare nel cuore di migliaia di fan di diverse generazioni. Una carriera artistica longeva che va dagli anni con i Pooh alla vittoria di Sanremo 1982 con “Storie di tutti i giorni”, fino ad arrivare all’ultimo progetto da titolo “Predestinato (Metalmeccanico)” edito da Azzurra Music, un libro disco dove il cantautore di Pontedera ripropone i grandi classici di una discografia sconfinata e un libro di 144 pagine curato da Michaela Sangiorgi, dove racconta come in un puzzle, pezzo dopo pezzo, i ricordi di una vita e di una carriera da metalmeccanico mancato. Il viaggio della memoria di un artista per una vita e una carriera senza rimpianti, ma con tanti ricordi da custodire.

Qui la nostra intervista a Riccardo Fogli per l’uscita di “Predestinato (Metalmeccanico)”

Ciao Riccardo, innanzitutto grazie per questa intervista. Inizierei chiedendoti come stai?

«Sto molto bene! Ricominciamo a suonare in giro io e la mia band».

Da colonna della musica italiana, come sta giudicando questa ripresa al live e alla musica suonata dal vivo?

«La musica dal vivo è la mia vita. Io sono anche un autore, ma fondamentalmente vivo di musica dal vivo».

Di recente è uscito il suo libro disco “Predestinato (Metalmeccanico)”. Come mai si è voluto raccontare in un libro?

«Dopo aver perso mamma, papà e il mio fratello maggiore, ho pensato fosse arrivato il momento giusto, avendo il tempo per colpa di questo lockdown, per fissare questi ricordi che altrimenti si sarebbero persi nella nebbia della memoria».

Riccardo Fogli – Cover – “Predestinato (Metalmeccanico)”

Che ricordi ha della sua vita da operaio?

«Ero molto felice! Alla Piaggio facevo il postino, canticchiavo e fischiettavo tutto il giorno. Avevo già la musica in testa che girava. Forse per quello ero felice».

Lei dice che il suo talento l’ha scoperto “strada facendo”, ma quando è che ha capito che quella della musica poteva essere la sua strada?

«Se consideriamo che il primo calcio ad un pallone l’ho dato a 35 anni, vuol dire che dai 15 ai 35 ho solo pensato a imparare a suonare, a cantare e guardare gli altri, quelli che cantavano meglio».

Una carriera fatta di incontri e relazioni, che l’hanno portata dall’essere un futuro metalmeccanico a diventare invece uno degli artisti italiani più amati. Qual è stato l’incontro più importante per lei?

«Quando mi sono trasferito da Pontedera a Piombino, nel 1964, ho conosciuto gli Slenders, una band di metalmeccanici come me , ma più bravi di me. Insieme siamo cresciuti fino ad arrivare ai Piper di Roma e Milano. Al Piper di Milano ho conosciuto i Pooh e da lì è iniziata l’avventura della mia vita».

Quest’anno sono 40 anni di “Storie di tutti i giorni” e ne presenta una nuova versione arrangiata dal maestro Mauro Ottolini. Quanto è stato importante questo brano per la sua carriera?

«Sono fortunato, ho scritto e cantato molti brani importanti nella mia carriera, ma la vittoria di Sanremo 1982 con “Storie di tutti i giorni” mi ha portato a suonare in tutto il mondo».

C’è un episodio particolare legato al brano o a quel Festival di Sanremo?

«Sì, ero stato dato per vincitore 2 mesi prima. Mi avevano già fatto la foto di copertina per la vittoria, ma poi ho scoperto che anche ad altri 2 artisti avevano preparato la stessa copertina. In gara c’era il maestro Al Bano che con “Felicità” incalzava. Ma poi per fortuna ho vinto io».

Nella tracklist del disco sono riportati tanti successi, quelli con i Pooh e quelli da solista come “La tenerezza ‘93”, “Malinconia”, “Mondo”, “Gli angeli hanno i denti bianchi”, la già citata “Storie di tutti i giorni” e “Piccola Katy” solo per fare qualche esempio. C’è però un brano alla quale è più legato?

«”Gli angeli hanno i denti bianchi (e non hanno le carie)“. Tutto è successo un giorno, quando uscivamo dal dentista, dove la mia bambina si era tolta una piccola carie, sbiancato i denti e si preparava a mettere l’apparecchio. In macchina la mia bambina mi disse: “Papi, tu hai scritto una canzone per mamma e una per il Dado (mio figlio Alessandro), ma quando scrivi una canzone per me?»

Nel libro racconta la sua storia, ma ad oggi, un bilancio della sua vita e della sua carriera lo ha fatto o c’è ancora tempo?

«Di bilanci ne ho fatti, ma non è ancora finita. Ho ancora tante cose da fare».

Come si vede nel prossimo futuro artistico?

«Come mi vedo? Mi devo mettere gli occhiali per vedermi bene, ma quando poi mi sono messo gli occhiali vedo un uomo che ha vissuto, ma vedo anche il fanciullo che c’è ancora in me».

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